domenica 22 dicembre 2013

Cannibali - Capitolo 1

Primo capitolo di un progetto al quale sto lavorando da un po' e che non ha un titolo definitivo... per adesso lo chiamo "Cannibali", e da ciò potrete intuire che questa primissima parte da "romanzo rosa" non rispecchia necessariamente l'eventuale proseguimento della storia ;) Comunque... ditemi un po' se fa proprio schifo!
P.S. La formattazione un po' alla cazzo di cane dipende dal passaggio da word s qui, non fateci troppo caso...


Capitolo 1



La scala mobile saliva fino al secondo piano del Grande Centro Commerciale, tra festoni grondanti allegria, musichette assordanti che si ripetevano sempre uguali e il brusio di diecimila voci una sopra l'altra, di tutta la città che come ogni anno si ritrovava lì tra i negozi, per presenziare al principale rito consumistico di quella festività pseudo-religiosa che è il Natale. Arrampicata su tacchi troppo alti, Valentina si guardava intorno come frastornata. Aveva mal di testa, aveva voglia di tornare a casa a guardare la tv, a leggere un libro, persino a studiare. Dovunque, ma non lì.
  • Terra chiama Vale. Sei tra noi? - Irene cercava come al solito di fare la spiritosa. Con scarso successo. Lei si che sembrava trovarsi a suo agio in quell'ambiente.
  • Si, scusatemi. E' che mi fanno male i piedi.
  • Per forza, se fosse per te andresti con le scarpe da ginnastica pure in discoteca. Non ci sei abituata ai tacchi, se te li mettessi più spesso staresti meglio. Eppoi ti lamenti che non trovi un ragazzo.
  • Veramente non mi sono mai lamentata, semmai siete voi che... - Irene non la stava più ascoltando, e neanche le altre. Una di loro, forse Gaia, aveva visto un tizio che conosceva, forse un suo ex, ed era ricominciato il solito giro di pettegolezzi. "Carino ma stronzo", aveva sentenziato qualcuna. Le sembrava di avere sentito lo stesso commento almeno un'altra decina di volte per dieci ragazzi diversi, quel giorno.
Valentina si avvicinò a Francesca. Anche lei era un po' in disparte, anche se sorrideva in continuazione e sembrava davvero felice di essere dove era. Desiderio di essere accettata, di essere come le altre. Francesca si sentiva sempre in sovrappeso.. beh, lo era, ed era costantemente a dieta. Non si poteva dire che non ce la mettesse tutta, ma i risultati non erano ancora quelli sperati. Si vergognava un po'. Per lei era già un grande successo avere trovato il coraggio di uscire quel pomeriggio con il gruppo, tutte in tiro com'erano.
  • Francy, mi ricordi come mai mi sono lasciata convincere a venire in questo posto, oggi?
  • Facile! Irene ci vuole far conoscere gli amici single del suo ragazzo, Dice che sono carini, magari ce n'è uno anche per noi.
  • E come avete fatto a farmi mettere la minigonna e questi maledetti trampoli?
  • Questo è un mistero anche per me. - Francesca sorrise. Aveva un bel sorriso contagioso. - Però sinceramente... sei bellissima oggi. Dovresti metterti così in tiro più spesso. Sono sicuro che cadranno tutti ai tuoi piedi.
  • Cadrò io ai loro piedi. Inciamperò, e tutti rideranno di me. - Francesca rise. Valentina le dette un colpetto sulla testa. - Ecco, tu hai già iniziato. Potevi almeno aspettare che mi rendessi ridicola! - Rise anche lei. In fondo pensava che Francesca non avesse tutti i torti. Anche se non vedeva l'ora di indossare i suoi vecchi jeans era stata attratta dallo specchio, prima di uscire, e quasi non riconosceva l'immagine che vedeva riflessa davanti a sè. Splendio lavoro, davvero uno splendido lavoro. E' incredibile cosa possono fare un po' di trucco e gli abiti giusti. Continuava a pensare che non ne valesse la pena, ma...

Più o meno a metà del secondo piano del Grande Centro Commerciale, stretta tra una pizzeria al taglio e un negozio di chincaglierie, una piadineria rappresentava la meta del gruppo di ragazze. Non appena furono in vista, un paio di facce note si alzarono dai tavolini che formavano una sorta di piazzetta lì davanti e si diressero verso di loro. Luca, il ragazzo di Irene, e Lele, suo fratello e loro compagno di classe. Dietro, alcuni fighetti ingellati che a Valentina sembravano tutti uguali.
  • Non mi dirai che quelli sono gli amici di Luca! - sussurrò a Francesca.
  • Mi sa proprio di si. Guarda come è carino quello biondo! - Evidentemente non aveva colto la nota di sbigottimento.
  • Dai Francesca, ma è biondo ossigenato!
  • Che ti importa, non ti sei mai tinta i capelli tu? Andiamo a presentarci dai! - Senza aspettare la sua risposta negativa si tirò dietro Valentina e andarono incontro agli altri, che già iniziavano a fare conoscenza. Cinque maschietti, sei femminucce. Chi sarebbe rimasta senza accompagnatore?

Irene sbrigò in fretta le necessarie presentazioni: fece qualche battutina sulla loro comune condizione di single e sull'ingiustizia della sorte, poi lasciò che la conversazione prendesse una piega più naturale. Dopo trenta secondi già Valentina non si ricordava più neanche un nome, fatta eccezione per quello del biondino ossigenato che a quanto pare si chiamava Kevin. "Kevin"! Nel nome il destino, dicevano gli antichi, e nel destino di Kevin Valentina vedeva solo il vuoto infinito. Poteva diventare un astronauta, magari. Oppure partecipare al Grande Fratello. Ma magari non era neanche colpa sua, e semplicemente il povero Kevin era vittima di genitori malevoli o teledipendenti, o di un mamma innamorata persa del Kevin Costner degli anni 80. Ci voleva una bella ispirazione a battezzare il figlio con quel nome infausto. Vale gli chiese se era di origini straniere, avrebbe potuto salvarsi. Ma era italianissimo. Kevin Rossi. Che schifo.

Dopo qualche minuto di chiacchiere generali, come per magia si formarono le coppie, più o meno omogenee. Valentina non era rimasta sola. Per fortuna la sorte non gli aveva dato in dono il bel Kevin, altrimenti difficilmente sarebbe riuscita a tenere a bada la sua mal sopita voglia di cinismo. Accanto a lei si era piazzato un bel moretto dall'aspetto innegabilmente attraente e dallo sguardo altrettanto innegabilmente vacuo. Il nome non l'aveva colto, forse Massimo, o Massimiliano, comunque qualcuno l'aveva chiamato Max e decise che in caso di necessità avrebbe adottato anche lei quel nome, riducendo così sensibilmente le sue possibilità di sbagliare. Lui si dedicò ai primi approcci con una certa grinta: le prime timide chiacchiere sulla scuola, sui pochi professori in comune, sugli hobby (non giocava a calcetto ma a tennis: che strano!) e persino qualche accenno di complimento. "Carina quella gonna". Valentina fu piacevolmente stupita perchè Max sembrava addirittura usare correttamente i congiuntivi, fattore rarissimo e sintomatico di una mente fervida e quasi diabolica. In fondo poteva persino andarle peggio, alla fine magari quello si sarebbe rivelato un bel pomeriggio, anche più divertente di una giornata passata in casa a poltrire sul divano. Doveva piantarla con quel cavolo di pessimismo cosmico.
Neanche Francesca era rimasta sola, e ora parlava fitto fitto con Lele, e i due ridacchiavano senza ritegno. In fondo Lele era un bravo ragazzo, anche se assolutamente anonimo. Viveva un po' succube della personalità strabordante del fratello maggiore, acclamato "grande figo" da tutta la scuola per il suo bel fisico palestrato e per la vaga somiglianza con El Shaarawy, anche nel ruolo in cui giocava a calcio. Vale era contenta, dentro di sè un po' malignamente aveva pensato che sarebbe toccato a lei restare senza un cavaliere per la serata.
E invece era toccato a Beatrice, o Bibi, come la chiamavano tutti. Valentina prese la cosa con grande soddisfazione, perchè la detestava cordialmente. Anzi la disprezzava, per meglio dire. Bibi, il cervello di una barbie nel corpo di una barbie. O quantomeno le sarebbe piaciuto. Bibi che ora si guardava intorno come spaesata, forse offesa che nessuno avesse notato le lunghe gambe scoperte o gli stivaloni nuovi da giovane ma navigata mignotta. Povera Bibi. O forse si chiedeva "ehi, ma il sesto dov'è?". Valentina rise a una battuta di Max che non avrebbe fatto ridere neppure una iena, e si sentì tanto soddisfatta di sè che si spinse persino a prendere il braccio di lui mentre insieme si dirigevano verso non aveva capito bene quale negozio, provocando un'occhiata di meraviglia da parte di Francesca, per un attimo interrotta la ragnatela di chiacchiere con Lele, e una di odio e invidia da parte di Bibi, che era dietro di lei a chiudere la fila. Non poteva vederla, ma la sentiva, sapeva che la stava lanciando.
  • Pau! - Sentì un gridolino stridulo provenire dalle sue spalle. - Sono qui, dove ti eri cacciato?
  • Scusami amore, sono dovuto passare a mettere benzina prima di venire, mio papà mi aveva lasciato la macchina in riserva. - Una sorta di grande nano dalle spalle enormi si avvicinò a Bibi, che dall'alto dei suoi tacchi dovette sensibilmente abbassare la testa per ammollargli un lungo bacio in cui si intravidero circa due chilometri di lingue intrecciarsi. Fanculo, ecco perchè era stata lasciata sola. Valentina si rabbuiò per un istante mentre Max cercava di raccontargli contemporaneamente il film di Tarantino che aveva visto la sera prima e il motivo per cui i suoi genitori erano separati da ormai due anni. Probabilmente tra le due cose c'era un nesso evidente, ma lei faceva una certa fatica a coglierlo. Si sforzò di tornare a sorridere. Non doveva curarsi degli altri, lei si sentiva bene: il braccio di Max era magro ma muscoloso, aveva una voce calda e chiara, addirittura passo dopo passo Vale iniziava a sentire sempre meno la fatica dei tacchi alti. In fondo poteva cercare anche lei di fare qualcosa per ravvivare la conversazione.
  • Che tipo di musica ti piace?
  • Mah... più che altro ascolto rock. Non ho veramente un genere preferito.
  • Ci vai al concerto dei Creed il mese prossimo?
  • Ho già il biglietto nel portafogli! Guarda! - Tirò fuori il portafogli dalla tasca e ne estrasse il biglietto, sventolandolo come un trofeo. - Non mi dire che ci andrai anche tu!
  • Se i miei me lo finanziano e trovo ancora i biglietti, credo proprio di si. Spero che Babbo Natale me lo porti come regalo. Ma perchè me l'hai chiesto con quel tono? La cosa ti stupisce?
  • No... - Max era un po' imbarazzato, e la cosa si vedeva. - Solo che a vederti così non ti si direbbe tipa da concerti rock.
  • A vedermi così... come? Comunque ascolto un po' di tutto. - Valentina era divertita dalla conversazione, e azzardò uno sguardo malizioso.
  • Così... mi sembravi più tipa da discoteca, diciamo. Irene non ci ha parlato molto di te.
  • Forse è meglio così. Non sono una grande appassionata di discoteche, ci vado si e no due volte all'anno. E se mi vedi tutta in tiro è un caso, di solito preferisco uscire comoda, in maglione, jeans e scarpe da ginnastica.
  • Fai male sai? Vestita così sei più bella di tutte le altre messe assieme. - Valentina arrossì e abbozzò un sorriso, mentre quello di Max si allargava sempre di più. - Bene, vedo che oltre ad ascoltare buona musica non sei neppure insensibile ai complimenti. E sei modesta. Ora però sbrighiamoci a raggiungere gli altri, che sennò ci lasciano indietro.

Dopo tre negozi di abbigliamento, uno di scarpe, una profumeria e un negozio di intimo dove Bibi aveva comprato un completini praticamente invisibile, attraendo a sè per qualche minuto gli sguardi e i commentini salaci di tutti i maschietti della compagnia, il pomeriggio di shopping sembrò essere giunto agli sgoccioli. Qualcuno propose di continuare la serata andando a mangiare una pizza insieme, e tutti accettarono di buon grado, salvo Bibi e Pau che avvinghiati in un groviglio inestricabile fecero intendere di avere altri e migliori programmi per la serata. Valentina chiamò suo papà e gli chiese il permesso di rimanere fuori a cena. Permesso accordato, ma sarebbe venuto a prenderla alle ventitrè in punto. Non un minuto più tardi.
La cena andò bene. Una buona pizza in mezzo a tante chiacchiere e un'allegra confusione. Le altre ragazze avevano insistito per ordinare un paio di bottiglie di vino bianco, e Valentina forse si era lasciata andare a un paio di bicchieri di troppo. Magari era per questo che si sentiva così bene. Ma in fondo era quello l'importante. Aveva spento il cervello, dentro di sè era consapevole che a quel tavolo si stavano facendo solo discorsi stupidi da ragazzini, ma non era quello che erano realmente? Ragazzini. Dio mio, aveva diciassette anni, non era più una bambina e avrebbe avuto ancora molti anni davanti a sè per preoccuparsi della sua vita da adulta. Quindi era l'ora di piantarla. Basta con i comportamenti da verginella ingenua. Basta con gli atteggiamenti da professorina pedante. Basta. Eppoi Max era gentile, ogni tanto le prendeva la mano o le accarezzava i capelli con gesto studiatamente distratto. Non aveva ancora afferrato bene il suo nome (ma perchè la gente non si chiama più per nome?), ma Max sembrava andargli più che bene, quindi... le piaceva. Soprattutto quando si chinava a sussurrargli nell'orecchio quelle battutine stupide che la facevano ridere a crepapelle. Lo guardò e gli sorrise, e lui le sorrise di rimando. Magari potevano anche uscire insieme qualche altra volta, perchè no?

Arrivarono caffè e limoncello per tutti, e la cena finì. Caterina, una ragazza carina ma troppo magra, e apparentemente non troppo soddisfatta del corteggiatore che le era toccato in sorte, propose di concludere in bellezza andando a fare quattro salti in un disco-pub lì vicino. Sembravano tutti d'accordo.
  • Mi dispiace ragazzi. - Vale alzò la mano. - Io non posso venire. Arriva mio padre a prendermi alle undici.
  • Chiamalo e digli che farai un po' più tardi, no? - La faceva sempre troppo facile, Caterina.
  • Non posso. Già gli avevo promesso che sarei tornata a casa per l'ora di cena. No grazie, voi andate pure, così faccio quattro passi all'aria aperta prima che arrivi papà. Almeno ho anche il tempo per smaltire il vino. Ho bevuto un tantino troppo e ora mi sento un po' sbronza.
  • Dai, - le disse Irene – non possiamo mica lasciarti qui da sola al buio! E' freddo, eppoi è pericoloso! Dai, alle undici manca ancora un'ora.
Prima che Vale potesse dire qualcosa, intervenne Max. - Le faccio compagnia io. Anzi, se vuoi posso pure riportarti a casa con la mia macchina. Tanto anche io non posso fare troppo tardi, domani mattina purtroppo devo svegliarmi prestissimo. - Valentina gli sorrise – un sorriso un po' ebete forse, ma si sentiva decisamente intontita – e Max le strizzò l'occhio. Gli altri fecero spallucce.
  • Oh beh, allora lasciamo i piccioncini da soli e noi andiamo a divertirci ancora un po'. Buonanotte ragazzi.
  • Buonanotte! - fecero Max e Vale all'unisono, e per l'ennesima volta scoppiarono a ridere entrambi.

Gli altri salirono sulle auto di due dei ragazzi, e ben presto sparirono all'orizzonte. Lungo la strada calò un silenzio un tantino imbarazzante.
  • Allora... - fece Max. - Andiamo a fare due passi nel parco o ti porto subito a casa?
  • Nono, niente casa, se papà mi vede tornare con un ragazzo in macchina sai che terzo grado ci scappa?
  • Ok. - Max non sembrava affatto dispiaciuto della risposta ottenuta. - Andiamo allora! - Le porse la mano. Vale intrecciò le dita con le sue, e insieme si incamminarono.

La città sembrava deserta. Il silenzio della notte era rotto solo dal passaggio di qualche automobile solitaria, e dal rumore dei tacchi di Vale sull'asfalto. Odiava quel rumore, le sembrava che potesse sfondarle i timpani, ma cercò di non farci caso e di ignorare il mal di testa. Arrivarono all'ingresso del parco.
  • Odio i tacchi. - Disse a Max, più per iniziare una conversazione qualsiasi che per reale bisogno.
  • Si? Io trovo che tu stia molto bene. Sei davvero sexy.
  • Certo. - Vale arrossì. Chissà se col buio Max se ne accorgeva. - Soprattutto con questa camminata da ubriaca.
  • Ma dai! Stai camminando benissimo!
  • Perchè sono ubriaca, appunto. Se fossi sobria sarei inciampata chissà quante volte, e tu avresti passato la serata a ridere di me.
  • Allora la prossima volta che usciremo insieme vedrò di non farti bere, almeno sarò sicuro di passare una serata divertente.
  • Se ci sarà una prossima volta mi vedrai uscire con te in pantofole! - Vale gli fece una linguaccia.
  • Guarda. - Max le indicò una panchina. - Un po' di riposo per i tuoi piedini martoriati. Ci sediamo?
  • Volentieri.

Si sedettero l'uno accanto all'altra. Max allungò le gambe, si stiracchiò e fece scrocchiare le dita. Vale invece si sedette tutta intirizzita, raggomitolata nel suo giubbotto nuovo.
  • Posso confessarti una cosa? - Chiese in un impeto di sincerità.
  • Spara.
  • E' tutta la sera che ti chiamo Max perchè quando ci hanno presentati non ho afferrato bene il tuo nome.
Max rise di gusto. - Non ti preoccupare, mi chiamano tutti Max! Comunque il mio nome è Massimo, molto piacere... - porse la mano a Valentina, che la strinse.
  • Piacere, Valentina. -Non riusciva proprio a rimanere seria. E le piaceva anche la sua stretta di mano. Forte e decisa, ma gentile. - Non sei arrabbiato con me, vero?
  • Ma no, figurati, non mi arrabbio mai con le belle ragazze. E' stata una bella giornata, mi ha fatto davvero piacere trascorrerla con te.
  • Anche io sono stata bene. - Cercò di reprimere un brivido. - Ora però sto morendo di freddo.
  • Se vuoi scaldarti, qui sotto c'è posto. - Max aprì il giaccone e allargò un braccio, invitandola a rannicchiarsi accanto a lui. Vale non si fece ripetere l'offerta due volte. - Va meglio ora?
  • Un po' si, grazie.
  • Figurati. Se non ti basta e hai bisogno di un altro po' di calore non hai che da alzare la testa.
  • Mmmhh? - Incuriosita Vale alzò lo aguardo, e senza neanche avere il tempo di respirare si trovò le labbra di Max incollate alle sue. "No!", pensò per un attimo, ma poi quasi suo malgrado si sorprese a chiudere gli occhi e a dischiudere le labbra, ricambiando il bacio. Forse era il vino ad avergli levato tutte le inibizioni, ma sentiva solo il desidero di lasciarsi andare, almeno per una sera. Rassicurato dalla reazione ottenuta, Max si fece più audace, e la sua lingua cercò di farsi strada nella bocca di Vale, finendo per incontrare e accarezzare quella di lei. Sapeva di birra e di aglio. Ma che pizza aveva mangiato? "Cosa mi sta succedendo?", pensò Vale, e sentì la mano di lui accarezzarle la coscia, pericolosamente troppo vicina all'orlo di quella gonna che ad ogni istante le sembrava più corta.
  • No! - Si ritrasse, e il bacio si interruppe bruscamente.
  • Cosa? - Max sembrava onestamente sorpreso.
  • Non... non posso, scusa?
  • Perchè?
  • Ho solo detto che non posso, non me la sento, mi dispiace! - Si alzò in piedi e fece qualche passo indietro, allontanandosi dalla panchina, cercando in qualche maniera di sistemare più dignitosamente i vestiti che indossava.
  • Non stavamo facendo nulla di male. Era solo un bacio! - Max allungò la mano cercando di afferrare quella di Valentina. - Dai, torna qui.
  • No! - Ancora qualche passo indietro. - E' bene che vada a casa adesso. Grazie della compagnia.
  • Vale, torna qui. - Lei lo ignorò e continuò a tornare sui suoi passi, stando bene attenta a mettere un piede davanti all'altro. - Vale! Oh, vaffanculo, me l'aveva detto Irene che eri una bambina, sono stato un cretino a perdere tempo con te. - Max si alzò in piedi e iniziò ad allontanarsi velocemente nella direzione opposta.

Vale pianse. Le lacrime sciolserò gran parte del suo trucco, e lei rovinò il resto stropicciandosi nervosamente il viso con le mani. Era una cretina, solo una cretina. In fondo Max aveva pure ragione, non stavano facendo niente di male. Era solo un bacio, e neppure uno dei peggiori. Ma non poteva, non poteva. Semplicemente non poteva continuare a far finta di essere quello che non era. Quello non era il suo mondo, lo sapeva, era inutile. Il suo mondo era quello delle ragazzine noiose e petulanti che diventano professoresse o se va bene avvocati, e si sposano a 40 anni con un collega di lavoro disperato quanto loro.

Arrivò alla fermata dell'autobus dove suo padre sarebbe passata prenderla poco più di venti minuti dopo, si mise a sedere su di una panchina e iniziò la sua attesa. Venti minuti per ricomporsi, per asciugare le lacrime, per trovare la faccia giusta per rispondere "tutto bene!" con un sorriso credibile quandò papà le avrebbe chiesto "come è andata la serata?". Si mise la faccia tra le mani. Poteva ancora piangere cinque minuti.

Strano, a quell'ora e con quella temperatura, ma per strada c'era ancora un po' di gente. Una signora impellicciata portava a spasso un cagnolino con tanto di cappotto, un patito della forma fisica faceva jogging, da qualche parte lì vicino due ragazze spettegolavano ad alta voce ridendo rumorosamente. Provava vergogna, a farsi vedere in quelle condizioni. Teneva la testa bassa come per sfuggire agli sguardi indiscreti... magnifico, e la calza quando si era rotta? Ci mancava anche questa. Cercò di coprirsi come poteva, con la borsetta. Quantomeno il freddo faceva brillare le stelle ancora più del consueto, e la luna era davvero splendida. Si incantò a guardare il cielo.

  • Scusa... Valentina, vero?
  • Come? - Vale si riscosse dal suo sogno ad occhi aperti.
  • Ti chiami Valentina, no? - Era una faccia nota quella che le si era avvicinata e le aveva rivolto la parola. Un ragazzo alto e magro, con i capelli molto lunghi e biondissimi, di certo non ossigenati, e la carnagione altrettanto chiara. Indossava jeans neri, un giubbotto di pelle, anfibi. Vale però non riusciva ad associare la sua faccia ad alcun nome.
  • Si, sono io.
  • Ecco, mi sembrava. Hai mica da accendere?
  • No mi spiace, non fumo.
  • Mmmhh. - Pensieroso, il ragazzo si guardò intorno. La signora con il cane era ancora nei paraggi. A grandi passi si mosse verso di lei.

Eppure Vale lo conosceva. Aveva la sensazione di averlo visto chissà quante volte, anche se forse non si erano mai rivolti la parola in precedenza. A scuola probabilmente, magari era in qualche classe vicina alla sua e aveva sentito il suo nome da qualcuno. Non era certo un volto molto comune quello, in una cittadina dove tutti sembravano uguali sicuramente spiccava. Ora era di ritorno, con la sigaretta accesa.
  • Vittoria! - Vale gli porse un sorriso di circostanza. - Ti da fastidio se mi siedo qui? Odio fumare camminando.
  • No, stai pure.
  • Non so perchè, ero convinto di averti vista con la sigaretta in bocca qualche volta. - Si girò verso di lei. - Se vuoi iniziare stasera, chiedi pure.
Vale sorrise. - No, grazie, preferisco di no. - Ragazzo strano, ma in fondo sembrava innocuo. Lo osservò con la coda dell'occhio mentre fumava la sua sigaretta in silenzio, a lente boccate, guardando la luna o chissà che cosa. Poi lo vide gettare la cicca a terra, ed alzarsi in piedi fischiettando.
  • Beh Valentina, buona serata.
  • Grazie, altrettanto a te.
  • Posso dirti una cosa? Senza offesa, eh.
  • Prego. - Era incuriosita.
  • Come ti vesti di solito, in jeans e maglietta, stai molto meglio. Non mi sembri per nulla a tuo agio così. Anche se stai bene, eh!

Vale gli sorrise ma non rispose. Non sapeva cosa rispondere. Lui si incamminò verso la sua destra, e ben presto sparì all'orizzonte, proprio mentre due fari iniziavano ad illuminare la strada dall'altra parte. Era suo padre.

2 commenti:

  1. il titolo mi piace! :)

    il riferimento ai creed fa molto anni '90... però si parla anche di el sharaawy, quindi direi che l'ambientazione è contemporanea.

    comunque sembra interessante!

    RispondiElimina
  2. Creed perchè volevo nominare un gruppo rock un tantino fuori moda... spero non si siano ancora sciolti :P cmq sono un figlio degli anni 90, credo si veda ;) Grazie del commento!

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...